
Il tempo che sbuffa e gorgoglia dentro una moka da sei tazze: il caffè non è mai venuto un granchè, ad essere sinceri.
Peró l’odore riempiva tutta la cucina, ed era bello aspettarlo in qualche modo, con un costume ormai fuori moda comprato anni prima già sulla pelle, e il piatto di peperoni fritti all’alba accanto.
Verdi e con l’uovo sbattuto.
Avremmo pranzato tutti insieme, ma non più tardi dell’una.
Un calendario del 2009, Agosto, per la precisione.
Una finestra sul giardino di dietro, da cui entrava l’odore del mare e dei peperoni fritti dei vicini di Potenza.
Non li abbiamo mai conosciuti realmente,
peró a Ferragosto hanno sempre fatto un gran casino. E in un certo senso anche gli altri giorni, ma si sopportava.
E la fotografia, nascosta, proprio lì se ci fate caso, in mezzo a tutto quel via vai che c’era in quelle estati lunghe da morire, calde da fare schifo.
Fa solo quello che sa fare meglio, in silenzio.
Illumina i volti, uno ad uno.
Riapre piano piano quella grande finestra con le sue dita sottili, senza fare troppo rumore.
Si fa piccola e minuscola e infinitesima, fugge in quella moka troppo grande e per un attimo, per un attimo soltanto, riesce a farla sbuffare di nuovo e gorgogliare come se fosse mattina, e noi camminassimo per le stanze di fretta. Riesce a farci incontrare, guardare negli occhi e sorridere, anche se per un solo secondo.
Va bene così.
Chissà, se ci sarebbe piaciuto anche il caffè.
Metaponto, 2009
Peró l’odore riempiva tutta la cucina, ed era bello aspettarlo in qualche modo, con un costume ormai fuori moda comprato anni prima già sulla pelle, e il piatto di peperoni fritti all’alba accanto.
Verdi e con l’uovo sbattuto.
Avremmo pranzato tutti insieme, ma non più tardi dell’una.
Un calendario del 2009, Agosto, per la precisione.
Una finestra sul giardino di dietro, da cui entrava l’odore del mare e dei peperoni fritti dei vicini di Potenza.
Non li abbiamo mai conosciuti realmente,
peró a Ferragosto hanno sempre fatto un gran casino. E in un certo senso anche gli altri giorni, ma si sopportava.
E la fotografia, nascosta, proprio lì se ci fate caso, in mezzo a tutto quel via vai che c’era in quelle estati lunghe da morire, calde da fare schifo.
Fa solo quello che sa fare meglio, in silenzio.
Illumina i volti, uno ad uno.
Riapre piano piano quella grande finestra con le sue dita sottili, senza fare troppo rumore.
Si fa piccola e minuscola e infinitesima, fugge in quella moka troppo grande e per un attimo, per un attimo soltanto, riesce a farla sbuffare di nuovo e gorgogliare come se fosse mattina, e noi camminassimo per le stanze di fretta. Riesce a farci incontrare, guardare negli occhi e sorridere, anche se per un solo secondo.
Va bene così.
Chissà, se ci sarebbe piaciuto anche il caffè.
Metaponto, 2009